Le rotte della Terra dei Fuochi
In 22 anni di Rifiuti Spa si è scritto il primo “Dizionario dell'ecocidio nella Terra dei Fuochi”. Dietro ogni singola voce del dizionario dell'ecocidio c'è un' inchiesta contro la “Rifiuti Spa” targata Campania, con rotte illegali che partono da ogni dove e trovano la loro meta finale sempre e solo nella Terra dei fuochi. Nomi fantasiosi ma evocativi: Adelphi, Agricoltura Biologica, Arcobaleno, Avolio+19, Black Hole, Caronte, Carte False, Casper, Cassiopea, Chernobyl, Dirty Pack, Dirty Island, Dred, Dry Cleaner, Eco, Ecoboss, Ecoservice, Econox, Eldorado, Eurot, Falena, Giudizio Finale, Humus, Houdinì, Macchia d'olio, Madre Terra (articolata in 2 fasi), Marco Polo, Marea Nera, Matrix, Mazzettus, Mosca, Nerone, Nolo, Old Iron, Oro Rosso, Paccotto, Partenope, Quattro Mani, Re Mida (articolata in 3 fasi), Resa, Rompiballe, SOA, Terra dei Fuochi, Terra Mia, Toxic Country, Tre Ruote, Ultimo Atto Carosello.
Le 82 indagini raccolte e monitorate da Legambiente comprendono sia quelle realizzate prima dell’entrata in vigore del delitto di traffico organizzato di rifiuti sia quelle successive all’approvazione, nel 2001 di quello che era l’art.53 bis del decreto Ronchi e oggi è l’art.260 del cosiddetto Codice dell’ambiente (Dlgs 152/2006) con cui viene sanzionata l’attività organizzata di traffico illecito di rifiuti. Ancora oggi, nei fatti, l’unico delitto ambientale. Inchieste, tutte, che cominciano a mettere il naso nella gestione della monnezza alla fine degli anni Ottanta per arrivare fino ai nostri giorni, dando l’esatta dimensione, oggi, dell’immane disastro cagionato alle province di Napoli e Caserta sull’altare del dio-denaro. Indagini che, soprattutto nella prima fase - cioè fino a metà degli anni Novanta - sono la fotocopia l’una dell’altra, con gli stessi nomi, le stesse aziende, gli stessi siti di smaltimento e le stesse targhe dei camion. E che prima dell’entrata in vigore del “delitto di traffico organizzato di rifiuti” sembrano fare solo un buco nell’acqua, dovendosi gli inquirenti confrontare con un quadro legislativo che prevedeva solo reati di natura contravvenzionale, con pene blande e che si prescrivevano nel breve volgere di una manciata di anni, lasciando i principali responsabili sistematicamente liberi di continuare a muoversi come niente fosse. Non sono mancate alcune eccezioni, come l’operazione Adelplhi, della procura di Napoli, nata nel 1992 grazie alle dichiarazioni del boss pentito Nunzio Perrella (il primo a descrivere il sistema ecomafioso in Campania), con decine di arresti per corruzione e associazione a delinquere di stampo mafioso, conclusa però con poche condanne e senza che i giudici riconoscessero il 416 bis; l’inchiesta messa a segno dall’allora Procura presso la pretura di Roma, nel 1994, con arresti e successive condanne per truffa, relativa agli appalti di raccolta e smaltimento di rifiuti in numerosi Comuni della provincia di Roma; l’operazione Cassiopea, della procura di Santa Maria Capua Vetere, una delle prime in cui venne contesto il disastro ambientale, anche questa finita in prescrizione dopo un travagliatissimo iter giudiziario. Per questo capita che i magistrati ricomincino sempre da dove si erano fermati, aprendo nuovi fascicoli per trovare gli stessi protagonisti e ricominciare d’accapo la partita, almeno fino al 2001.
Ottantadue inchieste che in questi 22 anni raccontano, in definitiva, di un sistema criminale mafioso-imprenditoriale che s’è potuto muovere agevolmente grazie alla protezione e complicità di una rete di colletti bianchi, uomini politici, funzionari pubblici, massoni e faccendieri di ogni risma. Un sistema ecomafioso, come l’ha definito Legambiente a partire dal 1994, che ha fagocitato ogni cosa e creato le premesse per l’accumulazione di un potere economico che ha inquinato ogni aspetto del vivere civile di quei territori. Si aprono le danze con le discariche autorizzate, presto trasformate in buchi neri aperti a tutto, illegalmente, in mano a società diventate famose nelle carte processuali e nelle dichiarazioni di ex boss, come Dario De Simone o Gaetano Vassallo, come la Novambiente (di proprietà di quest’ultimo) proprietaria delle discariche in località Schiavi e San Giuseppiello, o la Setri (poi Resit) di Cipiriano Chianese, la cava Giuliani, solo per citarne alcune. Discariche che fanno anche da schermo a veri e propri smaltimenti illegali, ovunque capiti: dai laghetti del litorale donmizio flegrego ai cantieri per la costruzione degli assi viari che attraversano le province di Napoli e Caserta. A far arrivare i rifiuti provvedono società commerciali, quelle gestite dai broker del sistema, come la Ecologica 89 di Gaetano Cerci (in realtà in mano ai Bidognetti/Perrella), la Tras.fer.mar di Ferdinando Cannavale di La Spezia, l’Etruria Ambiente di Luca Avolio, la Pool ecologia di Luigi Cardiello. Ma non mancano, come dimostreranno altre inchieste, con i relativi processi e condanne, anche società che fanno presunte attività di trattamento, come la R.F.G di Generoso Roma. Quelli fatti a partire dal 2008 da Vassallo, vale la pane ricordarlo, sono quasi sempre gli stessi nomi, compreso il suo, già contenuti nei dossier che Legambiente comincia a produrre ben 14 anni prima, con la “Rifiuti spa”. Senza che accada sostanzialmente nulla.
Vassallo conferma, insomma, quello che era già stato denunciato da circoli locali del Cigno e associazioni ambientaliste prima della sua collaborazione: nelle discariche in mano alla camorra in quel fazzoletto di terra tra le province di Napoli e Caserta, la Terra dei fuochi, hanno scaricato migliaia di aziende, oltre che campane provenienti da ogni parte d’Italia. Anche in questo caso, al di là delle eventuali responsabilità penali, peraltro difficili da contestare a distanza di così tanti anni, l’elenco delle società, sia di produzione diretta che, di nuovo, di brokeraggio contenuto nelle relazioni e nelle perizie che accompagnano i processi in corso, offre uno spaccato significativo del territori di origine dei rifiuti: la Del.ca, la Italrifiuti e la Vanni di Lucca, la Di Puorto di Torre del Lago (Lu), la 3F. Ecologia di Porcari (Lu) la Ideco di Pisa, la Zavagli e la S.C.M di Pistoia, la Recuperi Carnevale di Velletri, la Ecolmaci di Cisterna di Latina, la Acna di Cengio (Sv), la Siser di Generoso Roma, la ditta Nocera di Nettuno, e poi svariate industrie conciarie toscane e piemontesi. Sulla carta i rifiuti speciali e pericolosi raccolti da queste e da altre società dovevano finire in impianti autorizzati. O perlomeno questo c’era scritto sulle bolle di accompagnamento. La realtà, come sappiamo, è stata ben diversa. Dalle fine degli anni Ottanta cominciano a riempirsi di veleni di ogni tipo le cave, i campi agricoli, i cantieri (come l’Asse mediano e relativi svincoli, o la superstrada, compresa la terza corsia, che va da Pozzuoli a Nola, il litorale Domitio Flegreo), i Regi Lagni, i corsi d’acqua, le aree abbandonate, i tombini per acque piovane: insomma, di tutto. Centinaia, migliaia di discariche illegali dove si scarica a cielo aperto, spesso mischiando terra e rifiuti. Con pale meccaniche si sotterra, si copre tutto e magari si costruisce sopra. Un ciclo perfetto di criminalità ambientale. Si appiccano i roghi alle discariche illegali della camorra per occultare le prove degli sversamenti illeciti e fare spazio per altri conferimenti: è la soluzione spiaccia che trasforma quel territorio nella Terra dei fuochi, denunciata da Legambiente già nel Rapporto Ecomafia 2003 e descritta, fino nei dettagli, nelle audizioni del 2004 davanti alla Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Qui finiscono, senza alcuna precauzione, ma scaricati a cielo aperto, scarti di ogni tipo, soprattutto i più pericolosi e costosi da smaltire da alcuni segmenti del mondo industriale, italiano e non solo.
Anche quando il punto di arrivo di questi traffici è una discarica autorizzata, come nel caso della Resit di proprietà dell’avvocato di Parete, Cipriano Chianese, attualmente sotto processo, con Legambiente costituita come parte civile, i numeri contenuti nelle perizie sono da brivido: in questo sito sono state sotterrate, fino a 30 metri di profondità, qualcosa come 341 mila tonnellate di rifiuti speciali pericolosi, 160 mila e 500 tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi e 305 mila tonnellate di rifiuti solidi urbani: più o meno 800 mila tonnellate di scorie che stanno minacciando di inquinare finanche la falda acquifera, creando le condizioni per un disastro ambientale e sanitario di proporzioni immani. La relazione del geologo Giovanni Balestri, nominato Ctu dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli per capire cosa è stato veramente scaricato nei siti indicati dal collaboratore di giustizia Gaetano Vassallo lascia senza fiato. Un documento che è entrato di diritto nella storia della Terra dei fuochi, certificando una volta per tutte l’entità del disastro creato. Il geologo nella sua lunga relazione fa una mappatura precisa dei veleni che sono stati sversati nei vari siti indicati da Vassallo e da quanto emergerebbe in altre indagini con relativi sequestri. Nel lungo elenco di rifiuti, indicati sito per sito, per anno e per ciascuna azienda coinvolta, spesso è costretto pure a usare l’espressione “di tutto”, vista l’impossibilità di censire ogni tipologia di rifiuti finiti dentro quella discarica. Solo per avere un’idea di cosa si sta parlando, qui sono stati scaricati rifiuti di ogni tipo: melme oleose, pulper, fanghi dell’Acna, rifiuti civili, rifiuti solidi, rifiuti liquidi speciali, rifiuti ospedalieri, oli esausti, Fluff, batterie, acidi, fanghi umidi palabili, ceneri da centrali Enel, percolati e fanghi liquidi, prodotti caseari, fanghi da concerie, fanghi industriali, rifiuti trattati e fanghi palabili, inerti da demolizioni, balle di stracci, rifiuti speciali urbani, idrocarburi pesanti, scorie alluminio, timbri, acque reflue industriali, acque reflue civili e così via all’infinito.
A gestire i traffici non è soltanto il clan dei casalesi. Una sentenza recente da parte del Tribunale di Santa Maria di Capua Vetere ha condannato a pene reclusive di 16 e 18 anni (e ai risarcimenti dei danni verso le parti civili, compresa Legambiente) due esponenti del clan dei Mazzacane, attivo nell’area di Marcianise, anche loro responsabili di imponenti traffici e smaltimenti illegali di rifiuti attraverso una fitta ragnatela di società. Una sentenza che quasi non ha fatto notizia ma che rappresenta uno dei risultati più significativi ottenuti finora nei confronti dell’ecomafia. Così come è da sottolineare, a proposito di una delle grandi protagoniste di questa relazione, la Resit, che riguarda la condanna del boss dei Casalesi Francesco Bidognetti a 20 anni per avvelenamento delle acque e disastro ambientale aggravato al termine del processo con rito abbreviato per la gestione ultratrentennale della discarica. Insieme a lui, è stato condannato anche l'ex parlamentare del Partito Radicale Mimmo Pinto a sei anni di reclusione per disastro ambientale e falso (per lui è arrivata, invece, l’assoluzione dall'accusa di aver contribuito all'avvelenamento della falda ed è stata anche esclusa la aggravante dell'aver agito per favorire il clan dei casalesi), mentre sono stati dichiarati prescritti gli altri reati di cui era imputato. Secondo l'accusa, la falda è stata avvelenata a partire dagli anni Settanta con continui ed illeciti sversamenti di sostanze tossiche organizzati dal gruppo camorristico dei “Casalesi” con la complicità dell'avvocato Cipriano Chianese, titolare, appunto, della discarica Resit. Il coinvolgimento di Pinto, secondo i giudici, è relativo al 2003 quando proprio questa discarica venne destinata dal Commissario per l’emergenza rifiuti al Consorzio Napoli 3, presieduto da Pinto, per sversare rifiuti solidi urbani e per stoccare le famose ecoballe, e per questo finito a processo.
Dai processi in corso sulle discariche dei veleni, come quello relativo alla gestione della discarica di Pianura, spuntano altri documenti tecnici al vaglio dei magistrati che allargano ancora lo spaccato dei rifiuti finiti in Campania: a Pianura, secondo queste relazioni, sono stati trovati ceneri dell’impianto Enel di Brindisi, fanghi fitopressanti di concerie di Chivasso, terre di filtrazione dell’Agip di Robassomero, polveri di amianto di Torino, cosmetici scaduti di Roma e Opera (Mi) e Bologna, morchie di veniciatura di Novara, Pordenone e Paraona (Pv), terre di bonifica inquinate da gasolio di Sannazzaro (Pv), terre di bonifica di Milano, fanghi di verniciatura e altri fanghi palabili di San Giuliano Milanese, scorie e ceneri di alluminio delle fonderie Riva di Parabbiago (Mi), fan ghi di depurazione dell’ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano (To), scarti di collante acrilico e altri residui di mescolatore di Cuzzano Premosello (No).
Questi documenti e i numeri raccolti ed elaborati da Legambiente riescono solo parzialmente a dare l’idea del peggiore e meglio riuscito esperimento criminale giocato sui rifiuti ai danni di intere comunità. Avvelenamento di cui oggi, a differenza di ieri, conosciamo però i responsabili, i nomi e i cognomi, insieme alle sigle delle loro società e i numeri di targa dei loro mezzi. Veri e propri criminali che adesso dovrebbero essere chiamati, insieme a chi gli ha conferito i rifiuti e a chi, per inerzia o collusione, non li ha contrastati, a rispondere dinanzi alla legge, risarcendo i danni economici e morali alle comunità-vittime.
Ricostruire le rotte dei traffici, approfondire l’esame di quanto è già stato accertato dalla magistratura e dalle forze dell’ordine vuole essere un contributo di verità e giustizia nei confronti dei tanti onesti cittadini campani che vogliono riscattare il proprio territorio e affermare i principi di legalità e trasparenza. Una speranza, questa, che vorremmo si realizzasse il più presto possibile. Per fermare le illegalità e l’ecomafia è necessario dare risposte efficaci, troppo a lunghe rimandate, che richiedono uno sforzo congiunto di tutti. E trasformare le giuste proteste in proposte per archiviare la triste lunga stagione della Terra dei Fuochi, tornare a raccontare la Terra Felice e riaccendere la speranza di un futuro migliore.
Vanno in questo senso le proposte elaborate insieme da Legambiente, Libera e Fiom:
– rendere pubblica e aggiornare l’attività di mappatura e censimento dei siti contaminati;
- avviare una sistematica e puntuale attività di campionamento ed analisi dei prodotti ortofrutticoli ed alimentari per valutare l’eventuale trasferimento di inquinanti ambientali negli stessi;
- reperire risorse e predisporre strumenti certi ed efficaci per la messa in sicurezza e la bonifica delle aree inquinate, in particolare per consentire la realizzazione in surroga degli interventi nei siti di proprietà privata per i quali non sia possibile risalire al responsabile dell’inquinamento;
- avviare in tempi rapidi il Registro Tumori della Regione Campania;
- individuare un piano sanitario pubblico specifico per le zone colpite dagli sversamenti e dichiarate ad alto rischio di tumori, anche al fine di informare la popolazione su precauzioni da osservare;
-definire strumenti procedurali concreti al fine di consentire l’effettivo esercizio del diritto di risarcimento del danno ambientale;
-sostenere una rete di aziende e soggetti pubblici che promuovano e difendano la Campania pulita; predisporre un piano di riconversione delle aree contaminate basato sulle tecniche no food e sulla fitoremediation perseguendo una giustizia sociale e ambientale in Campania;
- introdurre nel Codice Penale i delitti contro l’ambiente, così da consentire alle forze dell’ordine e alla magistratura di prevenire e reprimere in maniera più efficace i fenomeni d’illegalità e criminalità ambientale;
- rafforzare l’attività di controllo e presidio del territorio, coinvolgendo, nelle giuste forme, anche la popolazione;
-istituire in Campania, a partire dalla Terra dei fuochi, un Osservatorio tecnico scientifico indipendente che accompagni questa lunga e difficile stagione di affermazione della legalità e di risanamento ambientale.
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